di Vincenzo Iovinelli

“LO SCOPO DEL MIO LAVORO E’ QUELLO DI RACCONTARE E CONDIVIDERE STORIE DIMENTICATE”

L ‘artista romano in scena al teatro “Italia” con Esodo che narra il dramma delle foibe e la fuga dei giuliano-dalmati da quelle terre ormai diventate della Ex-Jugoslavia. Perchè tanti anni di oblio? Tanti motivi, uno fra i tanti è che l’italia era uscita sconfitta dalla guerra e tutto ciò che riconduceva a quella disfatta si doveva dimenticare. Ma il mio spettacolo non ha un colore politico. Sono stato sempre un artista libero e ciò mi porta a scrivere e raccontare le storie che nascono dalla mia sensibilità a particolari temi.

Inquadrare Simone Cristicchi in un’unica definizione è impresa tanto ardua quanto inutile. I più lo conoscono come il cantante che ha vinto Sanremo con “Ti regalerò una rosa”, altri per il tormentone estivo “Vorrei cantare come Biagio”, taluni per la sua capigliatura molto cool. Ma dal 1995 ad oggi di acqua ne è passata sotto i ponti ed oggi Cristicchi è un artista tour court che dissemina il suo talento e la sua versatilità in molti campi artistici: dalla musica, al teatro passando per la scrittura. La voglia di raccontare storie, di alimentare il ricordo, egli stesso si definisce uno “svuota-cantine”, lo ha portato a mettere in scena “Magazzino 18”, un racconto per parole, immagini e canzoni, scritto assieme a Jan Bernas, per la regia di Antonio Calenda, che parla delle vicende istriane sul finire della Seconda guerra mondiale. Il “Magazzino 18” è un edificio realmente esistente nel porto vecchio di Trieste, dove furono portati e custoditi mobili e masserizie dei trecentocinquantamila esuli istriani, mai recuperati dai proprietari per oltre sessant’anni. Un luogo della memoria chiuso, nascosto, dimenticato. “Esodo”, riduzione dello spettacolo “Magazzino 18”, narra della tragica vicenda delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, rimossa per decenni dalla storia d’Italia e riscoperta con l’istituzione del Giorno del Ricordo che si celebra ogni 10 febbraio.

 

 

“Esodo” racconta una delle pagine più dolorose e scomoda della storia italiana. Ci spieghi come ti è venuta l’idea di metterlo in scena?

Stavo facendo una ricerca sulla Seconda Guerra Mondiale, nel 2012, e sono arrivato a Trieste che come sapete è una città molto particolare, di confine, attraversata da tutte le ideologie dal fascismo al comunismo e dal nazismo addirittura perchè a Trieste c’è l’unico forno crematorio: una città piena di richiami storici. Qualcuno del posto mi indicò che c’era l’esistenza di questo luogo, il Magazzino 18. Volli andare a visitarlo e vidi questo enorme ammasso di oggetti, di mobili, di masserizie degli esuli istriani, dalmati e fiumani: uno specie di museo ma non aperto al pubblico. Rimasi molto colpito perchè gli oggetti già di per se, raccontavano una storia, una memoria, uno strappo da queste radici. Cominciai a documentarmi e rimasi talmente colpito che composi una canzone che s’intitolava appunto “Magazzino 18” che trovò spazio nel mio quarto album (Album di famiglia, ndr). Però sentivo che la canzone non bastava per risarcire questa memoria dimenticata e così decisi di scrivere questo testo teatrale, insieme a Jan Bernas. Non mi aspettavo questo successo così eclatante dato che lo spettacolo ha avuto più di 200mila spettatori in tutta Italia e continuano ad arrivare richieste.

Il dramma delle foibe e l’esodo degli istriani dalle terre della ex-Jugoslavia. Come mai questa pagina è stata lasciata scivolare nell’oblio per tanto tempo?

La memoria dell’esodo è rimasta circoscritta a chi l’aveva vissuto, grazie anche alle tante associazioni che mantengono vivo il ricordo. A livello nazionale, prima dell’istituzione della giornata del Ricordo, 10 febbraio, non se ne parlava molto. L’oblio dipende da vari fattori: diplomatici perchè ormai la Jugoslavia di Tito era una nazione amico dell’occidente e non bisognava mettere in imbarazzo l’ex generale con delle domande scomode. In secondo luogo le Foibe erano un capitolo sanguinoso e drammatico che metteva in luce i metodi di pulizia etnica che poi si sono rivelati anche nella guerra in Kosovo e in Serbia negli anni ’90. L’Italia era uscita sconfitta dalla Seconda Guerra Mondiale e il prezzo da pagare era appunto l’esodo e la perdita di quelle terre della Venezia-Giulia che erano italiane. Tutte quello che richiamava a questa sconfitta doveva essere dimenticato.

Nonostante hai sempre dichiarato che “Esodo” non ha colore politico ti sono piovute critiche bipartisan. In alcuni casi lo spettacolo è stato boicottato, altre volte ci sono stati addirittura scontri tra le fazioni politiche più estreme. Come hai reagito a queste critiche?

Il mio non è uno spettacolo di parte. Basti pensare che cito per buona parte della trattazione storica i metodi del fascismo in queste terre. Io ho puntato a raccontare le “piccole memorie”. Ecco perchè Magazzino 18, perchè le piccole memorie fanno la grande storia. Lo spettacolo parla più di una malinconia di chi è costretto a lasciare la propria terra. Quindi mette in evidenza il lato emotivo dell’esodo che su quello storico. All’inizio rispondevo anche alle critiche, giustificare le mie scelte. Ma io sono principalmente un narratore e in questo ostacolo ho reputato giusto dare la mia voce a chi aveva vissuto questo dolore e il dolore, a mio avviso, non ha colore politico.

Oltre alle critiche ci sono stati anche grandi apprezzamenti. Ricordi qualcuno in particolare?

Ricordo una signora molto anziana che mi fermò per le strade di Trieste e mi disse “io ho 90 anni ed ora posso morire felice perchè c’è stato qualcuno che finalmente ha raccontato la nostra storia. Questo per me è stato il riconoscimento più grande che una signora qualsiasi, un senza nome, mi abbia riservato. Lo spettacolo ha ricevuto tantissimi premi (critica, giornalismo, ndr) ed addirittura mi è stata conferita la cittadinanza onoraria di Trieste…un’onorificenza davvero molto rara che questa città riserva, ad un’artista poi. Ma la cosa che mi rende più fiero è di aver portato alla luce questa storia.

In Esodo ci sono momenti musicali; i brani che canti sono inediti ispirati all’Esodo?

Si, sono canzoni che ho scritto io, inedite, tranne una di Sergio Endrigo che si intitola 1947. Nello spettacolo ci sono videoproiezioni dove si vede il Magazzino 18, com’è oggi, i filmati dell’epoca dell’esodo di Pola. E’ uno spettacolo che ha un ritmo molto sostenuto, nonostante sia scarno nel senso che sul palco non c’è quasi nulla, le parola e le immagini suscitano un’attenzione molto alta.

Come ti giudichi in questo momento della tua carriera?

Come mi giudico? (ride, ndr). Un debuttante. Ogni sera che salgo sul palco ho davanti a me una platea sempre nuova, un pubblico che mi vede per la prima volta come sarà ad Acerra e dunque li devo conquistare con le mie storie, con il mio linguaggio. In questo senso mi sento ancora alle prime armi. Però mi sento orgoglioso di ciò che ho fatto perchè mi sono sempre basato sull’istinto e poco sul marketing. Da una parte questo ha avuto un prezzo ma dall’altra mi ha reso un artista libero che ama raccontare le storie che sento e che mi appartengono. Il mio scopo non è quello di diventare un grande attore o una pietra miliare del teatro ma è quello di condividere, altrimenti il mio lavoro non avrebbe senso.

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